La prima sala del Museo Diocesano di Arte Sacra, Domus Orationis LIS

Questo ambiente, un tempo cappella interna dedicata alle monache di clausura, è la continuazione dell’aula della chiesa esterna di Santa Chiara. In questa sala le suore si riunivano, pregavano e svolgevano le loro attività. È quindi un luogo nevralgico per la vita monastica: durante i lavori di restauro al di sotto del piano pavimentale è stata documentata la presenza di sepolture. Inoltre, la rimozione dei materiali di riempimento dei rinfianchi della volta ha portato alla luce, sulle pareti, ciò che resta di un importante ciclo pittorico della chiesa primitiva databile ai primi decenni del 1300, particolarmente importante in quanto gli eventi sismici del 1456 e del 1706 hanno fortemente danneggiato il patrimonio storico artistico della città, cancellando una grande parte della Sulmona medievale e rinascimentale

Nella sala possiamo ammirare un dipinto murale posto sull’altare cinquecentesco che rappresenta la Crocifissione e reca la firma e la data Enea de Populi, 1543. Qui sono esposti vari reperti di arte sacra, la cui musealizzazione è stata regolata da specifiche convenzioni stipulate tra la Diocesi di Sulmona-Valva, la Soprintendenza e le Parrocchie di provenienza. Si è inteso così sottrarre al degrado e al pericolo di trafugamenti una serie di testimonianze sparse nelle chiese della Diocesi, valorizzandone le peculiarità artistiche e religiose e rendendole fruibili al pubblico e agli studiosi.

Di particolare rilievo è la teca con il gruppo delle oreficerie trecentesche che, col calice d’argento dorato e smalti firmato da Ciccarello di Francesco di Bentevenga, intorno alla metà del secolo, propone uno dei capolavori dell’arte orafa abruzzese. Calice e patena d’accompagno, anch’essa punzonata col bollo sulmonese in uso nella seconda metà del Trecento, con i loro smalti traslucidi, documentano quella scuola regionale che, a Sulmona più che altrove, aveva precocemente assimilato l’insegnamento senese filtrato attraverso le conoscenze della Napoli angioina.

In passato, allo stesso artista fu attribuito anche il pastorale, che più ragionevolmente si colloca invece verso la fine del secolo e, grazie al modello plastico delle piccole statuine di San Panfilo e del gruppo dell’Annunciazione, segna un momento importante per la scuola sulmonese. Secondo la tradizione locale, la preziosa suppellettile sarebbe stata donata alla Cattedrale dal Papa sulmonese Innocenzo VII.

Nelle altre due vetrine sono esposte le croci processionali quattrocentesche provenienti rispettivamente dalle parrocchiali di Campo di Giove e di Anversa degli Abruzzi.

Al centro è collocata la base di leggio in legno di noce intagliato del XV secolo proveniente dalla chiesa della Santissima Annunziata di Introdacqua.

Tra le sculture lignee policrome, assieme alla trecentesca Madonna col Bambino di Pettorano sul Gizio e ai più tardi esemplari di Scanno e Campo di Giove, è esposta anche la delicata Santa Caterina del XIV secolo, unico elemento dell’originario altare un tempo esistente nella Basilica di Santa Maria del Colle di Pescocostanzo, che denuncia lontane ascendenze gotiche francesizzanti penetrate in Abruzzo dall’orvietano e dall’area partenopea.

Domina la scena il crocefisso ligneo su croce dipinta a tempera del XV secolo proveniente dalla chiesa di San Pietro di Sulmona, assegnata a Giovanni da Sulmona, pittore operante nella prima metà del Quattrocento, autore del tabernacolo datato 1435, conservato nel Museo Civico dell’Annunziata.

Nel gruppo dei manufatti lapidei si inserisce una lastra tombale quattrocentesca con figura di prelato incisa sul retro di un titolo funerario di epoca romana, proveniente dalla chiesa di San Gaetano.

Tra i reperti più antichi si segnalano un drappo serico e una splendida casula in seta ricamata in oro, notevoli testimonianze di arte tessile provenienti dalla Cattedrale di San Panfilo. Il drappo, forse originariamente una mappula, databile tra la fine del 1100 e gli inizi del 1200, è esposto in una teca custodita tra due vetri e si compone di due pezzi cuciti insieme; il colore bianco del fondo è ravvivato ai due estremi da liste rosse con ornati gialli raffiguranti volatili affrontati e leoni rampanti.

Nella teca sul fondo della sala si trova la casula, usata per eventi di particolare rilievo. L’importante reperto è stato recuperato in un reliquario ligneo del XVIII secolo insieme ad un paio di stivali di cuoio adorni di piccoli nastri di seta e ad una borsa di seta rossa, che, secondo la tradizione, avrebbe contenuto le ossa di San Panfilo. Il pregevole parato presenta un motivo a banda con aquile bicipiti, gazzelle ed elefanti e, lungo il bordo, una scritta cufica rivelatrice di connessioni con la cultura araba: risulta, pertanto, ascrivibile, anche per gli animali raffigurati, specialmente le aquile, alle manifatture siciliane di epoca federiciana.