La terza sala del Museo Diocesano di Arte Sacra, ex-refettorio LIS

All’ingresso è posta l’ottocentesca Pietà tra San Francesco e Santa Chiara. Collocato sulla parete di fondo non poteva mancare l’affresco dell’Ultima Cena realizzato tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. Sulla volta campeggiano le scene seicentesche del Miracolo dei pani e dei pesci e di Gesù nella casa del Fariseo di impronta manieristica, anch’esse in sintonia con la destinazione dell’ampia sala.

Buona parte delle argenterie esposte proviene dal Tesoro della Cattedrale di San Panfilo che, ancora oggi, nonostante furti e dispersioni subiti nel tempo, vanta, oltre ai pregevoli manufatti trecenteschi di scuola sulmonese esposti nella ex-cappella interna, una notevole raccolta di suppellettili barocche in prevalenza napoletane, pervenute alla maggiore Chiesa cittadina per lasciti ed elargizioni fatti da personaggi di rango e facoltose famiglie della nobiltà locale.

Nella teca n°2 è esposto un turibolo d’argento con navicella d’accompagno siglato col marchio corporativo di Napoli pertinente all’anno 1696, di proprietà della parrocchiale di Pacentro. Nella vetrina n°3, un ostensorio a “sole” con sfera sorretta da coppia di angeli affiancati, punzonato col bollo camerale di Napoli. Nella vetrina n°9, un accenno merita la croce stazionale di legno con applicazioni di lamine d’argento, da identificare con la Croce di altare di legno con crocifisso, titolo e morte d’argento registrata in un inventario della Cattedrale del 1727.  Nella teca n°7, acquisito sempre dal cenobio delle Domenicane, è il magnifico tronetto d’argento con due angeli a tutto tondo e i santi Tommaso d’Aquino e Caterina da Siena posti ai lati della porticina, con lamine autenticate dal bollo NAP 1730. La sigla DM, già rilevata su alcuni argenti campani e in un secchiello del 1729 appartenente alla Chiesa di Santa Maria Assunta in Roccaraso, sembrerebbe riferibile al maestro Domenico Manzone. Nella vetrina n°4 troviamo uno degli ostensori, ancora di matrice napoletana e di discreta fattura, proveniente dal Monastero di Santa Caterina; una ruota simboleggiante la Santa martire d’Alessandria, incisa sul piede di un altro calice datato 1761, sembra indicare ancora il Monastero sulmonese, mentre la sigla FDG consente di identificare l’orafo Filippo Del Giudice.

Nella teca n°3, tra i vari calici, si distingue l’esemplare dalla linea sobria ed elegante offerto al Santo Patrono nel 1769 dal canonico Sebastiano Alicandri. Nella teca n. 6, il calice donato dalla famiglia D’Emilio nel 1903, ma lavorato nel 1866 segnato col punzone di garanzia di Napoli.  Nella teca n°5 si segnala, per la sua eleganza, il parato di sei candelieri di anonimo offerente del 1910, che porta il punzone ADL del maestro Angelo De Luca, già noto per aver lavorato nel Molise e nel Salernitano. Nella vetrina n°6, sempre alla scuola napoletana vanno riferiti i due calici ottocenteschi punzonati con la Partenope.

La raccolta di paramenti sacri, ordinata cronologicamente, copre un lungo arco di tempo che va dal XV al XIX secolo. Cospicua è la presenza di opere settecentesche.

Il Quattrocento è caratterizzato dalla presenza di una pianeta in velluto di colore verde proveniente dalla chiesa di Santa Maria Maggiore di Rocca Pia; il velluto di questo paramento, detto “ad inferriata” esibisce il caratteristico disegno della melagrana, che ebbe la sua massima diffusione tra il 1420 e la prima metà del Cinquecento. La fortuna di questa tipologia decorativa in ambito religioso è da ricollegare alla conservazione del significato simbolico di immortalità e di fertilità

Sul fondo della vetrina dei paramenti del Quattrocento, sono esposti alcuni manoscritti, tra i quali il Missale fratrum minorum: codice membranaceo miniato del XIII secolo in scrittura gotica italiana su due colonne, forse derivato dall’area marchigiana. Sono presenti due miniature: in alto Madonna in trono col Bambino e in basso Ultima Cena. Altri due scomparti miniati: in alto Crocifissione e in basso scena della Consacrazione. Riferito dalla letteratura alla prima metà del Trecento, il messale può essere invece ricondotto nell’ambito del secolo precedente e precisamente tra il 1255, per la presenza della festività di Santa Chiara canonizzata appunto in quell’anno, e il 1264, per l’assenza del Proprium de Tempore nell’Officio del Corpus Domini, introdotto successivamente. Il missale sulmonese si propone come uno dei più antichi codici francescani scampati alla distruzione delle Legendae relative alla figura di San Francesco, decretata nel Capitolo di Parigi del 1266, in seguito ai contrasti originati dalla riforma dell’Ordine voluta da Bonaventura da Bagnoregio.

Notevole interesse storico-artistico rivestono le opere pittoriche collocate in questa sala. La Nascita della Vergine del XVII secolo, proveniente dalla chiesa di San Gaetano, è l’unica attribuita a Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, rimasta in Sulmona dopo il trafugamento della pala dalla chiesa di Santa Maria della Tomba. Il dipinto sembra collocarsi nella fase in cui lo stile dell’artista si evolve verso una presentazione larga ed imponente delle figure e predilige una composizione in cui regnano simmetria, centralità ed ordine pur nella molteplicità dei personaggi rappresentati.

Proseguendo lungo il percorso espositivo si può osservare la tela della Visitazione dipinta da Ignatius Montella nel XVIII secolo, posta a fianco della seicentesca Crocifissione, proveniente dalla chiesa di San Domenico di Sulmona.

Poco oltre si presenta il dipinto della Madonna col Bambino e devoti o dell’Avvocata, tela del XVII secolo assegnata al sulmonese Alessandro Salini, di cui la città natia conserva alcune opere nelle Chiese di Santa Chiara e della Santissima Annunziata.

Proseguendo il percorso espositivo dei parati, il Cinquecento è presente con altre tipologie come il broccatello e il damasco ed è caratterizzato dal dominio della struttura compositiva a grandi maglie ovali a doppia punta con all’interno i motivi dell’anfora portante racemi fioriti, spesso sormontanti da corone.

Tra la fine del XVI secolo e l’inizio del successivo si assiste all’introduzione di nuove strutture ed elementi compositivi: caratteristici sono i motivi vegetali a “esse” detti a “mazze tronche”.

Il Seicento è caratterizzato da tessuti meno pesanti con armature come il raso, il damasco e le telette in oro, argento liserées e/o broccate. L’elemento floreale assume sempre più importanza e viene proposto secondo differenti tipologie ed articolazioni, inserite in strutture compositive ordinate e allo stesso tempo rese dinamiche dai mutamenti di orientamento. Questo secolo ci offre anche parati ricamati; un bellissimo esempio ci viene proposto dalla pianeta proveniente dalla Cattedrale di San Panfilo in seta ricamata in lamina metallica dorata; , tecnica conosciuta ed eseguita durante il XVII secolo ed abilmente prodotta dai maestri ricamatori napoletani, con disegno a rami fioriti e frutti.

Il Settecento è molto più doviziosamente documentato in tutte le sue correnti di gusto, che hanno reso questo secolo il più ricco di tipologie tecniche e disegnative. I tessuti settecenteschi presenti in questa sezione sono damaschi, taffetas, rasi, lampassi, gros, pékin, con innumerevoli inserti di trame lanciate e broccate, realizzati in seta, argento e oro.

L’esposizione, che vuole essere una sintesi dei valori più rappresentativi dell’arte tessile nella Diocesi di Sulmona, si conclude con una pianeta che si inserisce nel revival ottocentesco delle variegate tipologie barocche e rococò, qui risolte con garbo e leggiadria.