La sezione Medioevale e Moderna
La sezione Medioevale e Moderna si sviluppa su cinque sale, la prima delle quali è denominata Sala del Cavaliere, in quanto vi si conservavano le armature della Giostra Cavalleresca; attualmente vi sono esposti reperti lapidei dal XII al XVI secolo, tra cui la più antica immagine scolpita di Ovidio sinora rinvenuta in città. La successiva Sala di Giovanni da Sulmona ospita una raccolta di pitture su tavola e sculture lignee tra le più rappresentative del Quattrocento abruzzese; segue la Sala delle Oreficerie, con pregevoli manufatti di scuola locale sulmonese e di più tarda provenienza napoletana e affreschi staccati. La Sala dei Catasti custodisce arredi lignei sei-settecenteschi e alcuni volumi manoscritti, tra cui il prezioso Catasto cittadino del 1376. Il percorso, concepito secondo un criterio sia cronologico che tipologico, si conclude nella Sala Celestiniana, dove ha trovato posto un importante gruppo di tele provenienti dalla vicina Abbazia di Santo Spirito al Morrone.
SALA DEL CAVALIERE
La selezione di opere lapidee esposte, si compone essenzialmente di bassorilievi, sculture, stemmi gentilizi, iscrizioni, elementi decorativi e architettonici provenienti per la gran parte da chiese e palazzi della città che vanno dal XII al XVI secolo, in parte distrutti dai terremoti del 1456 e del 1706. Sono da notare, tra i reperti più antichi, la formella del XII secolo con figura di orante e la trecentesca statua di Santo in meditazione, identificabile forse con san Girolamo, un tempo sulla facciata della crollata chiesa di Sant’Agostino.
La serie dei manufatti allineati sulla sinistra comprende un San Pietro Celestino e un busto di incerta epoca del Santo Eremita, un tempo collocato nella chiesetta di Santa Croce del Morrone e il San Giovanni Battista che adornava il Palazzo costruito nel 1484 dal veneziano Giovanni Dalle Palle. La tardo-gotica Santa Caterina di Alessandria, di notevole valenza artistica, proviene dalla omonima chiesa conventuale delle Domenicane. Al centro della sala, leoni stilofori e una testa di personaggio coronata di alloro, identificata con il poeta Ovidio.
Sul lato opposto della sala, quattro formelle quattrocentesche appartenute ad un ambone della chiesa di San Francesco della Scarpa, con le figure di San Paolo, San Francesco, Sant’Antonio Abate e il vecchio Simeone. Interessante la lunetta con angeli reggenti lo stemma aragonese, recuperata nello scorso secolo dalla trecentesca Porta Napoli.
Sul fondo, un ciborio policromo goticheggiante, che richiama lo schema architettonico del portale degli Agostiniani, ed un altro esemplare di chiara impronta rinascimentale, datato 1527.
SALA DI GIOVANNI DA SULMONA
In questa sala sono esposti interessanti dipinti su tavola e sculture lignee risalenti al XV secolo, testimonianze significative dell’aprirsi della cultura artistica regionale alle più ampie vicende del gotico internazionale. Sulla sinistra troviamo il dittico di Sant’Onofrio e la Maddalena, proveniente dall’Eremo di Sant’Onofrio, assegnato al Maestro di San Silvestro, noto anche come Maestro del Trittico di Beffi, antesignano delle correnti pittoriche del Quattrocento abruzzese.
Particolare rilievo assume in questo contesto il tabernacolo dipinto con l’Annunciazione sul fronte e la Natività e l’Annuncio ai pastori all’interno, proveniente con la croce e altre sculture lignee dalla citata chiesa marsicana di Sant’Orante, che costituisce oggi l’unica opera datata (1435) e firmata da Giovanni da Sulmona.
In passato, il nome del sulmonese fu rilevato anche sulla base della statua del Battista, presente nella sala, per cui si è pensato che l’artista, oltre che pittore, fosse stato anche scultore, in considerazione anche delle forti similitudini rilevate con il Cristo crocifisso mutilo delle braccia. Di recente è stata affacciata l’ipotesi che del San Giovanni lavorato dall’anonimo intagliatore, cui andrebbe riferito anche il Cristo della croce dipinta e le altre due statue di Sant’Antonio e Sant’Andrea, Giovanni da Sulmona abbia realizzato unicamente la policromia.
La croce dipinta, recuperata nel 1915 tra le macerie della chiesa di Sant’Orante di Ortucchio, è assegnata al Maestro della Cappella Caldora, autore degli affreschi del sacello in cui è custodito il sepolcro, realizzato nel 1412 per sé e i suoi figli da Donna Rita Cantelmo-Caldora, nella chiesa dell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone.
L’altro Crocifisso, privo delle formelle, in origine era custodito nell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone; dalla vicina chiesa della Santissima Annunziata provengono invece la delicata Vergine Annunciata e il dipinto su tavola cuspidata raffigurante Santa Barbara, pittura decorosa e gradevole del primo Cinquecento, che rimanda all’ambito marchigiano.
SALA DEGLI AFFRESCHI E DELLE OREFICERIE
Gli ammodernamenti che caratterizzarono la vicenda urbanistica sulmonese negli anni a cavallo tra l’Otto e il Novecento coinvolsero anche edifici sacri e profani in rovina per vetustà e per incuria; taluni furono abbattuti, altri radicalmente trasformati, per cui fu giocoforza lo stacco di ciò che restava dell’antica decorazione pittorica, già fortemente compromessa dal degrado delle strutture murarie. In questa sala è esposta una significativa campionatura degli affreschi recuperati e restaurati di recente: di particolare interesse la Figura virile entro tondo e il Ritratto di sovrano, rari documenti pittorici di epoca sveva, provenienti da casa Caracciolo.
Vanno ascritti al XV secolo: la Madonna col Bambino e Santi staccata dal portalino laterale della chiesa di San Pietro, per la quale assieme al frammento di Angelo Annunciante, è stato affacciato il nome di Andrea De Litio o di uno dei suoi imitatori; la Madonna col Bambino tra l’Arcangelo Michele e San Giacomo Minore, già nella lunetta della crollata chiesa di San Giacomo della Forma, per la quale è stato fatto il nome del Maestro di Offida, identificato con Luca di Atri e la Crocifissione, donata da privati, opera di elevato livello qualitativo. Sul fondo della sala è presente la Madonna col Bambino tra Sant’Agostino e San Lorenzo, riconducibile al Maestro della Cappella Caldora, in origine nella lunetta della chiesa conventuale di Sant’ Agostino, la cui facciata fu trasferita sul fronte della chiesa di San Filippo Neri.
Di ambito quattrocentesco anche l’altra Madonna col Bambino e Santi, in deposito temporaneo presso il Museo, dopo essere stata recuperata dalla scalea di Palazzo Sanità.
Varia provenienza riconoscono le sculture lignee, cui si aggiunge un busto di Madonna in terracotta di buona fattura.
Sulmona vanta un’antica e prolifica scuola di oreficeria, che fin dal tempo degli Svevi incontrò largo favore sui mercati della Regione e del Mezzogiorno della Penisola. In epoca angioina-aragonese fu sede di un ufficio di controllo per la saggiatura dei metalli preziosi, per cui gran parte dei manufatti pregiati giunti fino a noi sono punzonati col bollo SUL, col quale si contrassegnavano gli oggetti d’oro e d’argento lavorati nelle officine locali, a garanzia della bontà della lega.
Al centro della sala si trova la collezione che si incentra essenzialmente sugli esemplari del Tesoro della chiesa della Santissima Annunziata, cui appartengono la croce ricca di smalti traslucidi, originariamente conservata nell’Abbazia di San Clemente a Casauria, il cofanetto donato dalla Corporazione dei Sarti nel 1430, il reliquiario cilindrico e la piccola croce del primo Cinquecento, opere punzonate col marchio SUL, nonché una pace, una corona in rame dorato con pietre dure incastonate e la serie di arredi tardo-rinascimentali e barocchi di scuola napoletana, con uno splendido secchiello aspersorio e una statuina di San Rocco lavorata nelle botteghe locali. Sulmonese anche la trecentesca croce processionale, punzonata col bollo SUL, già nella chiesa di Sant’Orante di Ortucchio.
Nel monetiere, si può osservare la collezione di monete medievali coniate nelle zecche abruzzesi di Sulmona, l’Aquila, Chieti e Guardiagrele, nonché il raro bolognino battuto dalla zecca pontificia a nome di Papa Innocenzo VII.
SALA DEI CATASTI E DEGLI ARREDI LIGNEI
In questa sala sono stati ambientati due importanti stalli lignei di fine Cinquecento, uno dei due porta la data del 1598, pervenuti al Comune di Sulmona nel 1894 dall’Abbazia di Santo Spirito al Morrone. Entrambi si compongono di tre sedili sorretti da volute; in quello destinato all’abate generale è dato particolare risalto allo scranno centrale rialzato e munito di braccioli; pregevoli gli intagli con sfingi, cariatidi, motivi di rosacee e teste di cherubini.
Sempre dall’Abbazia Morronese provengono i quattro banchi da sagrestia in noce, buoni lavori di ebanisteria locale, del XVIII secolo, nonché i ritratti di Abati Celestini e le settecentesche Nature Morte attribuite al pittore sulmonese Crescenzo Pizzala. Il leggìo posizionato al centro della sala, del 1714, apparteneva al soppresso monastero di Santa Chiara. Dalla chiesa dell’Annunziata e dalla chiesa di Sant’Orante di Ortucchio, invece, provengono gli angeli in legno dorato e i reliquiari cinque-seicenteschi esposti nella teca d’angolo.
Con altri documenti originali, nella stessa sala si conservano l’onciario del 1754, copia seicentesca degli statuti cittadini, un libro di introiti ed esiti dell’Università relativo agli anni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo e il prezioso catasto del 1376, il più antico esemplare giunto fino a noi dalle province meridionali. Il codice, ancora in buono stato di conservazione nonostante i dozzinali restauri subiti in passato, attualmente si compone di 484 fogli di carta bambagina filigranata, rilegati nel XVII secolo in tutto cuoio con impressioni a fuoco su entrambi i piatti; sull’anteriore, in lettere d’oro si legge: Catasto Sulmonem 1376.
SALA CELESTINIANA
Una parte significativa delle opere d’arte un tempo conservate nell’Abbazia Morronese e assegnate al Comune di Sulmona dopo la soppressione dell’Ordine dei Celestini, è costituita dal gruppo di dipinti su tela raccolti in questa sala. Sulla destra, il dipinto a doppia centina firmato e datato Joannes Conca 1750, raffigura l’Apoteosi di san Pietro Celestino con due angeli che sorreggono il triregno e le chiavi di Pietro e, in basso, due monaci in contemplazione.
Sulla sinistra, San Benedetto che scrive la Regola, realizzato da Antonio Raffaello Mengs nel 1758, opera che, assieme alla facciata borrominiana della Chiesa abbaziale, costituisce la presenza romana più importante nel panorama del Settecento abruzzese e rivela il particolare momento di “infatuazione correggesca” vissuta dall’artista.
La terza pala, con Santa Caterina e Santa Lucia, campeggianti a figura intera sullo sfondo di una città, è stata attribuita di recente a Giuseppe Simonelli, stretto collaboratore di Luca Giordano, autore di due pregevoli tele conservate nella chiesa della Santissima Annunziata. Analoga provenienza riconoscono i due piccoli dipinti con Madonna tra i santi Giuseppe e Francesco e Madonna col Bambino.
La Deposizione, olio su tela del XVI secolo, porta in basso al centro uno stemma gentilizio attribuibile ai Del Tinto ed era in origine collocato sull’altare della Cappella che la famiglia possedeva nella chiesa di Santa Maria della Tomba, dove ora si trova un quadro di analogo soggetto fregiato però da un diverso emblema araldico. L’altro dipinto della stessa epoca, raffigura San Pietro Celestino Papa e altro Santo col capo reciso.